Ostara, Eostre e Áusōs: Le Dee dell’Aurora e il ruolo dei Gemelli Divini nella tradizione indoeuropea.
Ostara è una festività neopagana introdotta nel XX secolo, che celebra l'equinozio di primavera e la rinascita della natura. Il suo nome è ispirato alla dea germanica Eostre, la cui esistenza storica è oggetto di dibattito tra gli studiosi.
A prescindere dalla storicità di questa figura, è senz’altro certo che il periodo primaverile in epoca precristiana era caratterizzato da numerose festività dedicate al risveglio della natura e al ritorno della luce. In molte culture indoeuropee, le divinità della primavera erano anche associate all'alba, alla rinascita e alla fertilità.
Tra queste si collocherebbe Eostre, talvolta considerata una possibile erede della divinità proto-indoeuropea Áusōs, il cui nome e ruolo sono stati ricostruiti attraverso l’analisi linguistica e la mitologia comparata sulla base delle affinità tra le dee dell’aurora nelle diverse tradizioni indoeuropee.
Ostara o Eostre: realtà o finzione?
La figura di Eostre (o Ostara), da cui deriverebbe il nome inglese della Pasqua (Easter), rimane al centro di un vivace dibattito accademico.
Infatti, l’unica testimonianza antica che menziona esplicitamente questa divinità proviene dal monaco anglosassone Beda il Venerabile, che nel suo trattato De Temporum Ratione scriveva:
«Eosturmonath, oggi chiamato mese pasquale, prendeva nome da una loro dea chiamata Eostre, in onore della quale venivano celebrati sacrifici. Ora quel nome è stato attribuito alla gioiosa festa della Pasqua cristiana.»
(Beda, De Temporum Ratione, XV)
Questa testimonianza, però, resta isolata, e nessun’altra fonte antica menziona esplicitamente Eostre. Nonostante questo, nell'Ottocento, Jacob Grimm (Deutsche Mythologie, 1835) menzionava Ostara come una divinità pan-germanica dell’alba, da cui sarebbe derivato il nome della festività della Pasqua:
«La dea Ostara, associata al sorgere del sole e alla rinascita primaverile, era certamente venerata dai popoli germanici, e il suo nome sopravvive nella parola Easter (inglese) e Ostern (tedesco), che designa la Pasqua.»
(Grimm, Deutsche Mythologie, 1835)
Questa posizione, tuttavia, è oggi considerata con cautela e alcuni studiosi moderni hanno messo in dubbio la reale diffusione del culto di Ostara o addirittura la sua esistenza storica. Ronald Hutton (Stations of the Sun, 1996) sostiene ad esempio che, in assenza di ulteriori conferme documentali, Eostre /Ostara potrebbe essere stata una divinità locale minore o perfino una figura letteraria.
Tuttavia, non mancano elementi che suggeriscono indirettamente la possibile esistenza di culti simili nel mondo germanico continentale. Un esempio sono le iscrizioni votive dedicate alle Matronae Austriahenae, rinvenute nella Renania germanica e datate al II-III secolo d.C. Il nome "Austriahenae" appare linguisticamente affine al termine "Eostre", derivando dalla medesima radice germanica austro- ("alba" o "est"), suggerendo quindi un’ipotetica connessione con un culto aurorale primaverile simile (Shaw, 2011).
Rudolf Simek (Dictionary of Northern Mythology, 1993) e Philip A. Shaw (Pagan Goddesses in the Early Germanic World, 2011) concordano nel ritenere Eostre una figura probabilmente reale, ma vincolata al contesto anglosassone, la cui connessione con altre presunte divinità germaniche come le Matronae Austriahenae rimane ipotetica e non definitivamente dimostrata.
La questione legata all’esistenza di Ostara/Eostre e la sua connessione con una divinità più antica, comune a molti popoli germanici e discendente della dea proto-indoeuropea Áusōs, resta affascinante ma aperta.
Áusōs , l’antenata delle dee dell’alba
Eostre/Ostara è spesso associata alla divinità indoeuropea dell'aurora, il cui nome ricostruito dai linguisti è H₂éwsōs, Áusōs. Non esistono fonti dirette che ne attestino il culto: il suo nome è stato ipotizzato confrontando i termini per “aurora” nelle lingue indoeuropee, come il sanscrito Uṣás, il greco Eōs e il latino Aurora. Le dee associate all’alba condividono tratti comuni, come l’essere giovani dee luminose legate all’inizio del giorno e al rinnovamento ciclico della natura. La presenza di elementi simili in divinità diverse suggerirebbe che anche i proto-indoeuropei venerassero una divinità dell’alba, plausibilmente chiamata H₂éwsōs o Áusōs, il cui culto si sarebbe poi frammentato e diversificato nelle culture derivate.
Questa divinità arcaica – il cui nome deriva dalla radice proto-indoeuropea h₂ews- ("brillare, splendere", da cui discendono parole come il latino aurum, "oro", e il greco ēṓs, "aurora") – era concepita come giovane figlia del Cielo (Dyeus), colei che apre quotidianamente le porte alla luce del giorno e che annuncia la rinascita della natura.
Nel mondo indoeuropeo antico esistono numerose attestazioni esplicite di questa figura mitologica, con caratteri sorprendentemente coerenti tra loro.
Nel Ṛgveda indiano, Uṣás ("aurora") viene invocata come la giovane dea che "apre le porte del cielo" e porta "luce e vita agli uomini", dissolvendo la notte con le sue luci rosate (Ṛgveda I.113). Analogamente, nella Grecia antica, la dea Eos, descritta da Omero come la "dea dalle dita rosate" (rododáktylos Ēṓs, Odissea, II, 1 e passim), precede ogni giorno il carro del Sole, aprendo le porte dell'Olimpo e disperdendo con la sua luce rosata le tenebre notturne. Questo motivo poetico viene ripreso anche nella mitologia latina con Aurora, che Virgilio descrive come "crocea" (color zafferano), evocando poeticamente il colore del cielo mattutino che anticipa il sole nascente (Eneide, IV, vv. 584-585).
In ambito baltico, la stessa figura aurorale è rappresentata da Aušrinė, che apre quotidianamente la via al Sole e ne annuncia l’arrivo. Anche in ambito slavo la dea dell'aurora (Zorya) mantiene una funzione analoga: ogni giorno spalanca le porte celesti per consentire il passaggio al carro del sole, personificando la vittoria della luce sulle tenebre.
La dea dell’alba e i Gemelli Divini nelle tradizioni indoeuropee
Una delle caratteristiche più interessanti e significative della dea proto-indoeuropea H₂éwsōs è il suo legame con una coppia di gemelli a cavallo. Questa triade – una giovane dea luminosa dell’aurora accompagnata da due fratelli cavalieri– forma un topos mitico ricorrente in varie mitologie.
Nel Ṛgveda indiano, ad esempio, la dea dell’alba Uṣás appare in stretta connessione con gli Aśvin, gemelli divini e cavalieri celesti. Essi sono descritti come giovani splendenti che arrivano sul loro carro d’oro proprio alle prime luci del giorno, accompagnando l’apparizione della dea dell’aurora e dissipando le tenebre:
«I divini Aśvin, rapidi e luminosi, giungono insieme a Uṣás, figlia del Cielo, portando il giorno agli uomini e disperdendo il velo oscuro della notte.» (Ṛgveda I, 92, 16-18)
Gli Aśvin hanno il ruolo simbolico di "liberatori" e "guaritori" del mondo, in quanto non solo aiutano l’aurora nel suo sorgere quotidiano, ma intervengono a favore degli uomini e degli dèi, restituendo vita e salute. Sono dunque archetipi di una luce salvifica e protettiva, incarnazione del momento liminale che precede il sorgere del sole e annuncia il rinnovamento del giorno e della vita.
Un altro parallelismo si trova nella tradizione greca con i Dioscuri, Castore e Polluce. Figli di Zeus e Leda, i Dioscuri erano eroi celesti celebrati come protettori degli uomini, soprattutto marinai e viaggiatori. Un antico inno omerico li descrive infatti come cavalieri ‘che brillano da lontano’ (Φαεσφόροι τηλόθεν, Phaesphóroi télothen) «pronti a salvare gli uomini mortali dalla triste morte, splendenti da lontano, sempre portatori di salvezza» (Inno omerico ai Dioscuri, 33, vv. 6-11).
I due erano profondamente legati alla sorella Elena, venerata a Sparta come una vera e propria divinità. Una delle possibili etimologie del nome Ἑλένη (Helénē) deriva probabilmente dalla radice proto-indoeuropea swel-, che significa 'ardere' o 'splendere', il che potrebbe suggerire un ipotetico legame con la luce e la sfera celeste.
Tuttavia, nel contesto spartano, Elena possedeva anche un aspetto più terrestre, associato alla terra e agli alberi. Un mito raccontato da Pausania riporta che Elena, giunta a Rodi dopo la guerra di Troia, venne impiccata a un albero dalle donne locali che le erano ostili; il corpo della regina sarebbe poi scomparso misteriosamente, lasciando sul posto solo un albero rigoglioso e sacro. Da quel momento gli abitanti iniziarono a venerarla sotto forma di un albero sacro, chiamandola Dendritis, "Elena degli alberi".
Il culto di Elena era particolarmente sentito dalle giovani spartane che, durante la festività della Helenèphoria, attraversavano la città in lunghe processioni, portando sulla testa canestri pieni di fiori, frutta e offerte, che depositavano sotto alberi sacri, come platani o pioppi, invocando protezione, bellezza e fertilità.
Tutti conoscono Elena per la sua fuga con Paride da Sparta a Troia, ma non molti conoscono la vicenda secondo la quale Elena sarebbe stata rapita in giovane età da Teseo e salvata dai Dioscuri
Secondo Plutarco (Vita di Teseo), durante una festa dedicata ad Artemide Ortia, Elena—ancora giovanissima e intenta a danzare insieme ad altre fanciulle spartane—venne improvvisamente rapita da Teseo e dal suo compagno Piritoo, giunti da Atene per farne la sposa dell'eroe. Elena fu portata in Attica e nascosta nella fortezza di Afidna, sotto la sorveglianza di Aithra, madre di Teseo.
Appresa la notizia, i Dioscuri, fratelli gemelli di Elena, radunarono un esercito e mossero rapidamente contro Atene. Dopo aver devastato i dintorni della città, Castore e Polluce trovarono infine la sorella: guidati dal suggerimento di un ateniese, Academo, assediarono Afidna, presero d'assalto la fortezza e liberarono Elena, restituendola alla sua famiglia e a Sparta. Il ritorno della giovane Elena ricalca il topos letterario presente anche in altre leggende indoeuropee della luminosa fanciulla rapita e salvata dai fratelli gemelli.
Anche nel folklore baltico è presente una triade composta da due gemelli e una dea dell’alba. Nei canti popolari lituani (dainos), la dea aurorale Aušrinė o "Figlia del Sole" (Saulės duktė) è accompagnata e protetta dai Dievo Sūneliai, i "Figli di Dievas", due gemelli divini che appaiono ogni mattina per salvare la fanciulla luminosa dalle profondità marine, metafora delle tenebre notturne. Anche questi giovani gemelli divini cavalcano come eroi celesti, restituiscono l’aurora al cielo, ripristinando l'ordine cosmico minacciato dal caos notturno:
«La figlia del Sole scivolò nelle onde del mare oscuro, ma i due Figli di Dievas,brillanti cavalieri del cielo, giunsero a trarla fuori dall'acqua, portando la fanciulla al sicuro nella luce dell’alba.» (dainos tradizionali baltiche, cit. in Straižys & Klimka, 1997)
Questi miti, pur distanti nel tempo e nello spazio, si rivelano sorprendentemente coerenti, come variazioni di un'unica melodia ancestrale. La triade formata dalla giovane dea dell’alba e dai due gemelli cavalieri si configura come una struttura narrativa antichissima, un codice simbolico attraverso cui le società del passato interpretavano i cicli stagionali e cosmici, trasformandoli in racconti senza tempo.
C’è qualcosa di profondamente affascinante in questa interdipendenza tra la dea e i gemelli. Non è solo la dea ad aver bisogno di loro, ma anche loro di lei. Senza l’azione dei due cavalieri, la luce dell’alba non potrebbe tornare, ma senza la dea, il loro gesto sarebbe privo di significato e la loro stessa esistenza compromessa. Non la proteggono perché è fragile, ma perché il suo ritorno è necessario per l’armonia del mondo. Il loro compito è aprire la strada, rimuovere gli ostacoli, permettere alla luce di sorgere. Il legame tra i tre è un equilibrio perfetto, in cui ciascuno ha bisogno dell’altro per compiere il proprio destino.
Forse è proprio per questo che, nonostante il trascorrere dei millenni, questi racconti continuano a esercitare il loro fascino e andrebbero ricordati oggi più che mai: non solo parlano della certezza che, dopo ogni notte, per quanto oscura, l’alba tornerà a risplendere, ma anche dell’armonia che nasce dall’incontro, del delicato equilibrio che si tesse tra forze complementari ma ugualmente importanti per sostenere la sacra rete di cui facciamo parte.